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Perchè il quesito non viola le Convenzioni internazionali

convenzioni

Nel presentare il giudizio di inammissibilità del quesito sulla cannabis nella sua conferenza stampa del 16 febbraio, il Presidente Giuliano Amato ha, tra le altre cose, avanzato problemi di conflitto del referendum con le Convenzioni dell’Onu. In attesa delle motivazioni il Comitato ci tiene a ricordare alcuni aspetti di cui si parla spesso inerenti ai documenti delle Nazioni unite ma che poco si conoscono.

Occorre però ricordare che la Costituzione parla chiaro: non sono possibili referendum su leggi tributarie o di bilancio, amnistia o indulto e leggi di autorizzazione di ratifica di trattati internazionali. La legge 309/90, oggetto del referendum, non autorizza la ratifica della Convenzione del 1988 né la implementa, cioè non incorpora i suoi articoli nelle norme nazionali. I motivi dietro alla previsione di esclusione delle leggi di autorizzazione di ratifica di trattati internazionali, come è facile apprezzare anche semplicemente rileggendo i lavori preparatori dell’Assemblea costituente, sono legati al fatto di essere leggi che concludono i loro effetti con la loro approvazione, nel caso la ratifica del trattato, e non dispongono norme per il futuro. Avendo già assolto il loro compito una volta approvate, non possono essere per questo oggetto di referendum. La Corte Costituzionale ha esteso la previsione inserita dai nostri padri costituenti esclusivamente per motivi tecnico-giuridici anche a quelle norme che applicano impegni derivanti da Trattati e Convenzioni. Si tratta di un’interpretazione contestata da buona parte della dottrina, che con la decisione di questi giorni precluderebbe ogni possibile cambiamento efficace della legislazione sulle droghe tramite referendum. Un’impostazione quella della Consulta che è ormai diventata giuridicamente, oltre che politicamente, contraria al compito assegnatole dalla Carta e contro cui non mancheremo di tornare per difendere i diritti costituzionali di poter partecipare con il referendum alle scelte del nostro paese.

IL QUESITO E LE CONVENZIONI

Tutto ciò premesso, il testo del quesito è stato costruito in modo da non incidere su obblighi derivanti dalle Convenzioni, come motivato più ampiamente nella memoria depositata in Corte a difesa dello stesso (e che verrà resa nota a tempo debito). E’ inoltre interessante rilevare come il Governo non si sia costituito contro il referendum, come invece sempre successo in precedenza, il che, volendo, significa che lo stesso non aveva alcun timore che il testo violasse qualche trattato internazionale dando la parola ai cittadini. Ma torniamo al quesito.

LA RIMOZIONE DI “COLTIVA”

L’obbligo derivante delle Convenzioni di vietare le coltivazioni di piante inserite nelle tabelle per fini diversi da quelli medici o scientifici è assolto nel Testo Unico sulle droghe dall’art. 26, che il quesito non toccava. Questo vieta la coltivazione delle piante (a eccezione della canapa industriale) per fini diversi da quelli medico-scientifici che a loro volta debbono essere debitamente autorizzati dal Ministero della Salute secondo le indicazioni dell’art. 27. L’art. 28 rinvia per chiunque coltivi in assenza di autorizzazione “alle sanzioni penali ed amministrative stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse”. Si badi bene, “fabbricazione” e non “coltivazione”: così è scritto, non da noi, ma nel  DPR 309/90. Bastava leggere il testo del quesito per capire che il referendum non toccava questi articoli lasciando quindi la normativa nell’alveo delle Convenzioni e consentendo di colpire con la sanzione penale qualsiasi condotta di produzione di stupefacenti che per quantità e industriosità potesse essere definita a uso non personale.

Come chiarito nella memoria preparata in vista della camera di consiglio del 15 febbraio, la rimozione del termine “coltiva” dal comma 1 dell’art. 73, in una lettura sistematica convenzionalmente orientata e vincolata al principio di tipicità, si risolveva nella depenalizzazione della sola coltivazione a uso personale di un numero limitato di piante delle tabelle I e II, lasciando penalizzate le ulteriori condotte necessarie a produrre ed estrarre sostanze stupefacenti (come oppio, morfina, eroina e cocaina, ma anche hashish) anche se destinate all’uso personale!

Va precisato ulteriormente che le convenzioni non dettano l’obbligo di vietare la coltivazione in senso assoluto, quella del 1961 all’art 22 la ritiene una facoltà del paese se “a suo avviso, la ritiene la misura più adatta”, mentre quella del 1988 nel definire le condotte da ritenere illecite rimanda sempre alle disposizioni della prima.

LA DECARCeriZZAZIONE PER CANNABIS E DROGHE LEGGERE

La rimozione dal comma 4 dell’art. 73 delle pene detentive per le condotte relative alle cosiddette “droghe leggere” (Tabella II e IV), restava rigidamente nell’ambito delle Convenzioni. Recentemente, l’INCB (la Giunta internazionale per gli stupefacenti, l’organo dell’ONU che sovrintende all’applicazione delle convenzioni sulle droghe), ha specificato come “l’uso estensivo dell’incarcerazione per reati di droga di basso livello persiste in molti Stati, anche se secondo le convenzioni sul controllo della droga solo i reati “gravi” dovrebbero essere passibili della pena dell’incarcerazione.” Peraltro, già con il Testo Unico del 1990 l’Italia ha già scelto di praticare quella flessibilità nell’interpretazione e applicazione delle Convenzioni messa nero su bianco dalla seconda Assemblea Generale dell’ONU del 2016, colpendo le condotte legate alla cannabis con sanzioni minori, nonostante fosse allora ancora inserita nella tabella IV, quella delle sostanze più pericolose e soggette a controllo rafforzato. Infine, nel 2020 la Commissione droghe dell’ONU ha rimosso, con il voto favorevole dell’Italia, la cannabis da quella tabella. Il referendum di fatto sarebbe stato un mero adeguamento in linea con le mutate condizioni internazionali e nel solco già tracciato dal legislatore nel 1990.

LA SANZIONE DELLA PATENTE

Infine la rimozione della sanzione amministrativa del ritiro della patente dell’art. 75, a prescindere da comportamenti pericolosi come la guida in stato alterato (che rimaneva punita ai sensi dell’articolo 187 del CdS), è in piena linea col dettato delle convenzioni. Come ribadito sempre dall’INCB “alle persone accusate di uso di droghe o possesso di piccole quantità di droghe per uso personale deve essere fornita l’opzione di cura al di fuori del sistema della giustizia penale e delle alternative alla detenzione. I servizi di trattamento e riabilitazione possono essere forniti come una vera e propria alternativa alle sanzioni della giustizia penale.” E’ evidente che la sanzione della sospensione della patente nulla ha a che fare con trattamento e riabilitazione, come del resto anche le altre tre sanzioni amministrative che pur il quesito lasciava intatte per non contravvenire ad una precedente decisione della stessa Corte Costituzionale sul referendum del 1997 che non aveva ammesso perchè rimuoveva l’intero apparato sanzionatorio amministrativo dell’art. 75. Inoltre si lasciava pienamente efficace la possibilità di avviare percorsi di riabilitazione e cura, in linea con il dettato delle Convenzioni.

Tutto ciò al netto della lettura delle motivazioni della Corte costituzionale.

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