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Nota sulla pronuncia della Corte Costituzionale sul referendum cannabis

corte costituzionale

Referendum Cannabis: Consulta insiste con lunare accusa di legalizzazione “droghe pesanti” e giudica legge di risulta con interpretazioni fuori dal tempo

Prima nota del Comitato Promotore Referendum Cannabis Legale a seguito della pubblicazione della sentenza relativa all’ammissibilità del quesito che aveva a oggetto il Testo Unico sugli stupefacenti 309/90:

“Più che evidenziare perché il quesito referendario sarebbe inammissibile in base alla Costituzione, le 19 pagine della sentenza della Consulta sono un apprezzamento speculativo delle circostanze che sarebbero state create dalla normativa di risulta. La Corte impiega metà sentenza a dare conto a se stessa di quale sia la normativa vigente del testo unico, evidentemente avendo incontrato qualche difficoltà ricostruttiva del testo oggetto dei quesiti.

La Corte riconosce che “indirettamente” il ritaglio referendario si riferiva anche alla cannabis, contraddicendo le mistificazioni avanzate dal Presidente Amato nella sua conferenza stampa del 16 febbraio, confermando la differenza tra “piante” e  “sostanze” ma eludendo la conseguenza logica della necessità di mettere in campo una serie di altre condotte affinché dalle prime si producano alle seconde. Condotte non interessate dal ritaglio referendario.

Pur ricostruendo le intenzioni dei promotori, la Consulta infarcisce le motivazioni di termini quali “Illusorio”, “fuorviante” e “inidoneo” confermando quanto lasciato trapelare da varie sortite pubbliche del Presidente e cioè che si sarebbe trattato di un giudizio di inammissibilità fondato su interpretazioni, peraltro parziali, dei rimandi normativi frutto di un’impostazione che pur pretendendo omogeneità per il testo referendario si riferisce alla legge come se essa non dovesse esser applicata nella sua interezza.

Infatti, se così fosse stato, dal permanere di condotte volte alla raffinazione delle cosiddette “droghe pesanti” a seguito della depenalizzazione delle coltivazioni – nonché alla detenzione delle stesse piante a fini diversi dall’uso personale e alla non modifica dell’impianto sanzionatorio per coltivazioni massive (che rimanda esplicitamente alla fabbricazione e non alla coltivazione) – si sarebbe desunta la coerenza e legittimità del quesito, anche in relazione alle Convenzioni internazionali.

Ultima, ma non ultima, l’interpretazione delle Convenzioni Onu come se il mondo fosse fermo al 1961. Non solo ci sono paesi che hanno modificato le normative nazionali sulle droghe (Uruguay, Canada, Malta e 19 Stati USA) senza uscire dai documenti internazionali, ma nel 2016 la sessione speciale dell’Onu sulle droghe ha stabilito che le Convenzioni prevedono flessibilità interpretative per adeguarsi al contesto nazionale prevalente e che nel 2020, col voto favorevole dell’Italia, la Commissione Droghe dell’Onu ha cancellato la cannabis dalla tabella IV quella delle piante o sostanze di maggiore pericolosità. Da tale elemento emergono i maggiori tratti di mistificazione a opera della Corte che, tra le altre cose, sostiene che il comitato abbia inteso aggirare i vincoli internazionali asserendo che la natura dell’intervento abrogativo fosse mitigatrice e non anche violativa delle convenzioni. La motivazione su quel punto delle memorie difensive si incentrava sulla mutata considerazione della cannabis nell’ambito del sistema della Convenzione del 1961 a seguito della decisione dell’Onu di due anni fa.”

Nei prossimi giorni il Comitato pubblicherà le memorie difensive del quesito organizzando momenti pubblici di ulteriore approfondimento nel merito delle motivazioni.

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