Il quesito referendario toccava tre punti del testo unico sugli stupefacenti: l’articolo 73 al comma 1 (che rimuoveva la parola “coltiva”), l’articolo 73 al comma 4 (che rimuoveva le pene detentive da 2 a 6 anni oggi previste per le condotte legate alla cannabis) e l’articolo 75 al comma 1 (che rimuoveva la sanzione amministrativa del ritiro della patente).
Le argomentazioni del presidente della Corte hanno riguardato il primo punto. Sotto tre aspetti, tra loro anche inconciliabili.
A) Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono nemmeno la cannabis, che si trova nella tabella 2. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale. Così non è. Infatti il comma 4 richiama testualmente le condotte di cui al comma 1 dello stesso articolo 73, tra le quali è ricompresa proprio quella della coltivazione. Appare evidente, dunque, come non si possa prescindere da una lettura combinata dei due commi. In altre parole, i proponenti non hanno fatto riferimento al comma 1 perché volevano legalizzare la coltivazione di droghe pesanti, bensì perché non si poteva fare altrimenti, dal momento che i due commi sono legati. Se non si fosse eliminato l’inciso “coltiva” dal comma 1, sarebbe rimasta la sanzione pecuniaria elevatissima prevista dal comma 4 per tutte le condotte legate alla cannabis.Mentre l’intento dei promotori era quello di decriminalizzare del tutto la coltivazione a uso personale. In ogni caso, comunque – ed è quanto esposto nella memoria difensiva del quesito e nel corso dell’udienza in Corte – questo non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza. La parola “coltiva” fa riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis. Si possono coltivare – certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo – papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 del 73. Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali.
Di qui la scelta di eliminare il solo termine «coltiva» è indice dell’intenzione del Comitato promotore di legittimare tale attività in quanto riferibile alla sola cannabis, lasciando dunque operare l’area di penale rilevanza sulle successive fasi della produzione e fabbricazione, in tal modo non andando a incidere sulla punibilità di condotte che attengono ad altre sostanze stupefacenti. é quanto è stato documentato davanti alla Corte.
B) Sconfessando le precedenti affermazioni, il Presidente Amato ha poi aggiunto che l’eliminazione dell’inciso “coltiva” dall’art. 73 comma 1 non ne avrebbe comunque determinato l’impunità, perché la coltivazione rimane punita dagli articoli 26 e 28 che rimandano alla pena prevista per la fabbricazione illecita (prevista dal 73 comma 1), con ciò qualificando il quesito referendario come INIDONEO a conseguire lo scopo abrogativo perseguito dal Comitato promotore. Delle due l’una: o l’eliminazione della parola “coltiva” determina la depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante e quindi violerebbe – ma non viola – le convenzioni internazionali, oppure ci troviamo al cospetto di un ritaglio inutile, che non ridurrebbe l’area di penale rilevanza di alcuna di queste condotte.
Oppure, esiste una terza via, che è quella indicata dal Comitato Promotore facendo stretto riferimento al dato normativo: gli articoli 26 – 27 – 28 si trovano nel Titolo III del Testo Unico e recano testualmente “Disposizioni relative alla coltivazione e produzione, alla fabbricazione, all’impiego ed al commercio all’ingrosso delle sostanze stupefacenti o psicotrope”. Sono relativi, cioè, alla coltivazione massiva e non rudimentale e prevedono che la condotta posta in essere in assenza di autorizzazione sia assoggettata alle stesse pene e sanzioni previste per la fabbricazione illecita (73 comma 1). Dunque eliminando l’inciso “coltiva” dal solo articolo 73 commi 1 (e 4 di rimando), ad andare esente da pena sarebbe stata la sola coltivazione rudimentale a uso personale e non anche quella all’ingrosso. Tutto ciò in perfetta aderenza con quanto stabilito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nell’aprile 2020.
C) Il Presidente Amato ha anche affermato che il titolo del referendum fosse fuorviante e non corrispondente ai ritagli effettivamente proposti dai promotori. In particolare, ha sostenuto che il nome indicato fosse “referendum cannabis” malgrado due dei tre interventi riguardassero invece tutte le sostanze e non solo la canapa. In realtà il titolo del referendum, così come ratificato e ritenuto corretto dall’Ufficio centrale referendum della Cassazione è: “Abrogazione parziale di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti”. Laddove i termini produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti altro non sono che la trasposizione letterale della rubrica stessa dell’art. 73, cui è stato aggiunto il solo termine “coltivazione” in modo da consentire agli elettori chiamati al voto di individuare correttamente gli interventi più rilevanti dei quesiti referendari.*
[…] in the first part of the question did not even refer to cannabis. The promoters, on the contrary, they responded rather harshlysaying that if anything it was the Court that did not understand the wording of the question and […]
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